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La grande primavera del ’45. La periferia della guerra

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Ho incontrato Cia Marazzi, classe 1925 che mi ha raccontato la sua vita, interamente dedicata alla scuola e strettamente legata alla storia di Como, alla storia con la S maiuscola.

Cia mi ha fatto un resoconto della sua lunga vita nella scuola. Dopo il diploma magistrale presso le Orsoline, si è laureata in lingue e letteratura straniere con specializzazione in inglese, all’Università Cattolica nel 1952. Ha cominciato a lavorare facendo supplenze in un asilo infantile e nella scuola elementare dei padri Barnabiti , poi alla scuola di S.Chiara a Como ha insegnato per dieci anni francese, perché l’inglese non era praticato, né molto amato a Como, visto che gli inglesi avevano bombardato la città. A questo proposito racconta un episodio che le è capitato in Inghilterra, mentre soggiornava a Londra alla Davi’school ed era stata invitata a una festa privata. Mentre stava sorseggiando un tè, è arrivato lo zio della festeggiata che, quando ha saputo che Cia era di Como, si è alzato dicendo “Mi ricordo di Como”. Ma il ricordo non era di una vacanza, ma di un bombardamento, perché lo zio era in forze all’aviazione inglese e aveva tentato di sganciare le bombe su Como più volte, ma le bombe non si sono sganciate.

In seguito Cia ha insegnato nelle scuole statali, è stata alla scuola media Puecher di Erba (e anche qui c’è modo di ricordare la Storia, visto che Giancarlo Puecher era un giovane milanese sfollato a Erba nella villa di famiglia. Unitosi alle squadre partigiane antifasciste, fu catturato e fucilato dai fascisti vicino al cimitero all’età di 20 anni).
Dopo Erba è andata alle scuole medie di Albavilla, dove Cia ha insegnato francese, anche se aveva l’inglese nel cuore e nel pomeriggio faceva ripetizioni di inglese, e dove è cominciata la sua carriera prima da vicepreside e poi da preside. Infatti, dopo aver vinto il concorso a Roma, ha chiesto di restare ad Albavilla, perché “è meglio una regina in un paese che una sconosciuta in città”.
Il sindaco di Albavilla, sig. Frigerio, le disse “Ha in mano il paese più lei di me, perché io, lavorando a Como, arrivo alla sera.
Dopo 40 anni di lavoro Cia Marazzi ha concluso la sua carriera, andando in pensione con la medaglia d’oro

Cia ricorda l’esperienza della guerra; ha vissuto con la famiglia in centro città (via Perlasca e via Tommaso Grossi) e ricorda che in cantina c’era uno spazio che si trasformava in rifugio quando suonavano gli allarmi dei bombardamenti. C’erano rifugi anche sotto la Ferrovia Nord, vicino alla scuola delle Suore Canossiane e ai giardini pubblici e mi svela un particolare importante per la città: i bombardamenti degli inglesi colpivano Milano e la Brianza, ma raramente Como, perché troppo vicina al confine della Svizzera, stato neutrale.

“ Ricordo che i Partigiani comandati da Luigi Clerici avevano chiesto di potersi rifugiare nelle nostre cantine in via Perlasca perché stavano arrivando i fascisti. Mia madre accettò e per farli sentire al sicuro faceva per loro la minestra sul camino. Contemporaneamente però arrivarono delle squadre di fascisti che per sfuggire alle azioni partigiane si erano rifugiati nel nostro solaio. Quando Clerici si rese contro della situazione , capì che era meglio allontanarsi da Como. Si avviò verso Camnago con i suoi uomini , ma furono intercettati dai fascisti che li catturarono sparando alle gambe e li rinchiusero nel carcere di San Donnino. Clerici fu poi fucilato, seduto su una sedia, perché essendo ferito alle gambe non poteva stare in piedi”.
“Anche mio papà in quegli anni era in guerra, durante la prima guerra mondiale era stato comandante della base italiana del Pireo in Grecia, ma non essendosi iscritto al partito fascista, per coerenza con il suo precedente giuramento di fedeltà al re, fu deportato in Polonia, a Czestochowa . Anche mio fratello che aveva vent’anni fu deportato in Olanda. Ritornarono entrambi nel settembre del 1945. Mio padre era molto deluso, perché il fascismo lo aveva costretto a chiudere la sua azienda di costruzioni, di cui era molto fiero.”
“Mio fratello invece, ritornato a piedi e in autostop, era molto cambiato: prima della guerra era simpatico e gioioso, sempre disposto a raccontare barzellette allegre. Ma al ritorno dalla prigionia non era più allegro e aveva ricordi che non voleva comunicare, anche se poi è riuscito a proseguire gli studi, si è laureato in ingegneria edile, si è felicemente sposato e ha avuto cinque figli”.

E infine Cia mi ha raccontato un’ultima storia del tempo di guerra, quando con le amiche era in chiesa per la festa di s. Orsola. “A un certo punto ci hanno detto che dei giovani soldati tedeschi stavano scendendo a piedi dalla via Napoleona. Ci è sembrato bello andare a salutare questo corteo di giovani che avevano tutti la mitragliatrice al collo. Poi sono arrivate le nostre mamme preoccupate di quel che stava succedendo, ma mia mamma ha sentito il bisogno di abbracciare uno di quei giovani, dicendo che non sapeva dove fosse il figlio militare, che forse era il pericolo e per questo voleva abbracciare quel giovane, come fosse suo figlio . Anche a noi ragazze il gesto era sembrato spontaneo e avremmo voluto fare lo stesso, ma non è stato possibile soddisfare il nostro desiderio innocente.
“La guerra è la guerra, ma è proprio vero che nell’amore non esistono confini né diversità nell’affetto”

Lucia Battaglia

foto Monica Bari

da oltre il giardino n.18

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