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Sono nel fiore dei miei anni/drammi e rido a crepapelle

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Le risate (soprattutto quelle che riguardano me stessa) sono una parte rilevante delle mie relazioni e sono fortemente liberatorie, così come il ridere della condizione umana e delle proprie costruzioni mentali. Mi aiutano ad essere più elastica e flessibile; sono una voglia straripante, una tentazione frequente di ridere di felicità, del “non sapere” e di tante nuvole bianche che si rincorrono nel cielo. Quando rido di me stessa mi accorgo che sto facendo un passo indietro nella consapevolezza delle tante “seghe mentali” che mi sono fatta e continuo a farmi. Osservare il proprio dramma nel dramma mi fa scattare una certa ilarità quasi terapeutica: il plesso mi si rilassa e i retti dell’adome si distendono. Forse perché il vedere chiaro sottintende la leggerezza come assenza di pesantezza, gravità, peso, quindi umorismo esente da ego (che di solito coincide con il prendere in giro qualcuno pensando di essere più intelligente di lui!). Ridere mentre il mondo “crolla”, mentre i suoi calcinacci ideologici si frantumano a terra da una parete o muro che si è fatta respiro, spiraglio, luce. Ridere non è sempre una cosa sciocca, ridere davvero toccandone le vertigini, è una cosa seria. Nel linguaggio quotidiano sento frasi quali: la vita è una schifezza/oggi piove, che giornata di merda/non è giusto che la mia vita sia così sfigata/non funziona nulla in questo Paese/perchè mi sta capitando tutto questo?il mondo è pieno di gente del c***o! Poi? Poi non cambia nulla, ammesso che qualcosa o qualcuno debba cambiare. Frasi comuni ripetute allo sfinimento, ovunque in ogni luogo e paese e dico: chi è esente da questo modello scagli la prima pietra. Ohi! Ne ho trovato uno ahahah! Questo atteggiamento, imitato, omologato, suggerito eccetera innesca una sequenza di desideri illusori, false speranze, delusioni, conflitti, sconfitte e pseudo vittorie, mentre si affoga nella sofferenza, nello sconforto, nell’ansia, nello stress, nell’egoismo. Pensiamo che tutto ciò sia parte del mondo, sia cioè nell’altro diverso da me, diviso da me, separato. Ergo, se proprio devo morire affogata, scelgo di morire dal ridere, magari felice. Meglio ridere come chi nel naufragio trova più amici di quando viveva in tempi di mare piatto. Voglio ridere insieme a chi oggi si sente meno solo di ieri in una sorta di urgenza di costruire una cultura libera e indipendente, caratterizzata dal bisogno di dire, di ascoltare, di condividere, di socializzare. Ridere con chi non teme l’ombra, con chi non teme di essere diverso o minore, se minore è l’unico modo per essere liberi. Ridere facendo l’esperienza del non sapere; quando ci dissolviamo completamente in ciò che siamo e “patiamo”, quando siamo vita e non conoscenza della vita, quando siamo una carezza, un bacio, un abbraccio e non un’intenzione mai nata perchè chi ancora ride e piange senza essersi lasciato inaridire sa quanto i rapporti umani siano indispensabili. Ridiamo, invochiamo, preghiamo, scopriamo insieme il senso della parola co-mu-ni-ca-re, un senso nuovo, più luminoso, più ironico perchè una società che non conosce il proprio risvolto comico è una intelligenza inutile e depressa. Allegria! diceva Mike Bongiorno, ma è anche il testo della canzone del Cirque du Soleil.

Allegria! Come un lampo di vita Allegria! Come un pazzo gridar Allegria! Del delittuoso grido Allegria! Bella e ruggente pena, serena Allegria! Come la rabbia di amar Allegria! Come un assalto di gioia. Allegriaaaaa!

Donatella Galli

da oltre il giardino n.23

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